ePrivacy and GPDR Cookie Consent by TermsFeed Generator I Vini del Piemonte » Vendemmia 2018: intervista a Davide Ferrarese

Blog   |   12/11/2018

Vendemmia 2018: intervista a Davide Ferrarese

A vendemmia conclusa ci siamo confrontati con uno dei migliori agrotecnici piemontesi, Davide Ferrarese. Sul campo da vent’anni, può certamente dare qualche spunto di riflessione e aiutare a inquadrare l’annata 2018 dal punto di vista delle uve e dell’andamento climatico.

Sono migliaia i chilometri percorsi ogni anno da Davide tra le zone del Gavi, Ovada, Alto Piemonte, Valle Belbo, l’astigiano e le Langhe. Non si sbilancia mai sui vini perché sono troppe le variabili. Su tutte c’è la parte umana che incide parecchio, quando si parla di vino, dalla gestione della vigna alla produzione, dal rapporto alla percezione con e del consumatore.

Come sono andati dal punto di vista climatico gli ultimi dodici mesi?

Per quanto riguarda il Piemonte l’inverno è stato finalmente “abbastanza inverno”, con temperature rigide seguite da una primavera piovosa. Mentre l’estate è apparsa come “incompleta” se si guarda al mese di agosto, più fresco, seguito da un meraviglioso settembre. Una bellissima annata quindi che fino a quaranta giorni fa non avrei azzardato a definire così, perché mi piace parlare con dati concreti alla mano. La 2018 è una di quelle annate “di accompagnamento” alla comprensione e adattamento al cambiamento climatico in atto.

Non ci siamo dimenticati infatti della siccità del 2017, così come la grande quantità di pioggia scesa nei mesi autunnali e primaverili scorsi…Quanto è stato difficile lavorare in vigna?

Per via del maggio perturbato è stato sicuramente faticoso. L’esecuzione dei lavori cosiddetti “ordinari” in vigna è stata rallentata: ricordo molto bene un 10-15 giorni di stop a causa di piante e terra bagnate, difficili da gestire. Ma tendenzialmente si è riusciti a portare a casa ottime uve, anche tra Castagnito, Roero e Barbaresco, dove non è mancato qualche episodio di grandine. In ogni caso mi piace ripetere ai miei clienti che bisogna imparare ad interpretare l’annata, lavorare, per portare la vite in condizione di equilibrio sia nel caso di annata precoce che tardiva. A seconda del vitigno che si ha tra la mani è bene capire il terreno e la vigoria cercando poi di adattare le regole e gli strumenti in funzione del miglior risultato qualitativo a cui tutti vogliono arrivare. Per esempio, non è sempre detto che il diradamento occorra farlo ad agosto, ma quando è necessario. Così come la sfogliatura: bisogna analizzare la posizione del vigneto e procedere con una corretta esecuzione temporale, in base all’andamento climatico. Non esiste un protocollo valido per tutti: è necessario guardare al singolo vigneto.

Appurato il cambiamento climatico, esiste una vigna, un terreno o un’esposizione che ne ha giovato?

Non c’è il solo calendario vendemmiale che conferma il cambiamento climatico ma anche i parametri registrati al momento della raccolta delle uve nelle varie zone. Lo scorso anno il 20 di settembre l’uva era già praticamente tutta in cantina, con il resto dell’Europa che ha sofferto più di noi in Piemonte, così come quest’anno il sud d’Italia in termini di pioggia. Di conseguenza il lavoro migliore da fare è impostare una gestione viticola che sia in grado di dare la giusta dignità produttiva, che si concentri sulla chioma, sulla gestione del suolo e della sostanza organica. Quando si fanno le valutazioni cerco sempre di contestualizzare il più possibile le vigne e l’andamento climatico della zona in cui sono inserite.

Esistono secondo te in Piemonte delle zone con condizioni particolarmente ideali per fare vino?

Sicuramente nelle esposizioni migliori e in buone altezze, in cui bisogna fare lavori più certosini, troviamo basi validissime, ma in realtà le cantine che riescono a vinificare separatamente le uve provenienti dalle diverse colline sono in grado di tirare fuori ottimi prodotti in tutte le annate. Le vigne vecchie sono delle piccole garanzie qualitative, insieme ovviamente all’esperienza maturata negli anni. Un valore che cresce solo con il passare del tempo. I grandi blend quindi a mio avviso sono i migliori ambasciatori di una annata perché riescono a rappresentarne tutte le caratteristiche. Sfumature esaltate soprattutto nei vini prodotti con cultivar autoctone, che si ambientano meglio di altre in determinate zone. Si pensi al Cortese a Gavi, al Nebbiolo nelle Langhe e nell’Alto Piemonte o il Barbera nel Monferrato. Non c’è un luogo ad esser più vocato o migliore, sono le persone a fare la differenza, in ogni areale produttivo. Mi piace il lato umano della vigna che si riflette anche in cantina. L’imprinting del titolare lo si respira in tutti i componenti dello staff aziendale.

Non ci resta ora che aspettare la primavera, ed assaggiare i risultati si questa splendida vendemmia!

Erika Mantovan

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