ePrivacy and GPDR Cookie Consent by TermsFeed Generator I Vini del Piemonte » Il Pinot Nero in Piemonte

Blog   |   10/05/2019

Il Pinot Nero in Piemonte

L’uva pinot noir, tra le più ammirate del mondo, viene coltivata anche in Piemonte fin dalla metà del ‘700.

L’uva pinot noir, tra le più ammirate del mondo, è da sempre vissuta dagli enologi come “la sfida”. Per la sua difficoltà, per la sua elegante potenza e complessità. Una varietà antica, di oltre duemila anni di età, proveniente da Francia e Germania. Eppure in Armenia qualche produttore sostiene che sia figlia dell’indigena, e ancora coltivata a piede franco, uva Areni Noir. La cosa certa è la sua ineguagliabile capacità di attrarre l’attenzione di tutti. La storia conferma che questa varietà è sempre stata considerata una risorsa preziosa e tra le più redditizie. Un bene da trattare con i guanti e identificata con minuzia in quella che i Galli chiamavano emarcum, presente con tre sottovarietà, come raccontato dal Columella nel suo De re rustica libero III: «Di queste, la migliore è la più piccola. Che oltre ad avere la foglia più rotonda, sopporta freddo e siccità se non accompagnate dalla pioggia. Longeva è anche l’unica uva in grado di omaggiare le caratteristiche del terreno, anche il più magro, per la sua fertilità».

Ma in Borgogna non è sempre stata chiamata così: in antichi scritti di Dijon si parla di “Noirien de Pomard”, poi “Morillon” e infine Pinot in una lettera del 1375 scritta dal duca di Borgogna Filippo l’Ardito al suo cantiniere. Sarà sempre il duca a consacrarla definitivamente a grande e pregiata uva vent’anni dopo, costringendo i viticultori a non espiantarla in favore della più produttiva Gamay.

Mentre in Germania la leggenda racconta del desiderio di Carlo IIl, nipote di Carlo Magno, di piantare Pinot sul lago di Costanza a Königsweingarten, nella “vigna del Re”, già nel 884. Ma le prime fonti ufficiali risalgono al 1470 ad Hattenheim, nella valle del Reno.

Pierre Galet invece, il più giovane agronomo di Francia nel 1939, contava circa cinquanta tipi di pinot, nati da incroci spontanei provenienti dall’Est dell’Europa. Oggi lo troviamo con cloni tipo Bourgogne e tipo Champagne, questi ultimi con grappoli più grandi e più produttivi.

E in Piemonte? È noto l’amore per i vini di Borgogna da parte di Camillo Benso, conte di Cavour, folgorato poi nel suo excursus politico dai nebbioli di Sizzano nell’Alto Piemonte. La storia dell’Italia e del Barolo sappiamo bene esser legata alla figura di un enologo: Louis Oudart. Il francese, nato nella Valle della Marna, nella regione della Champagne, si spostò a Genova dove insieme al cugino Jacques Philippe Bruché avviò un’azienda dedicata alla produzione di vini: Maison Oudart et Bruché. La sua intelligenza e arte di négoce lo portarono presto ad offrire le sue consulenze a Neive, tra le mura della tenuta del Conte di Castelborgo. Qui, oltre a produrre la prima versione di vini secchi a base Nebbiolo e a raggiungere la fama nel mondo, si divertiva a produrre pinot nero in vigne sicuramente presenti, a sfogliare gli archivi, già a metà dell’800. Se le prime tracce concernenti la produzione di vino a base Nebbiolo risalgono a ben prima, al 1767, si può forse ipotizzare lo stesso per le altre uve vinificate nel castello: malvasia, pignolo, nebbiolo e appunto pinot nero. Quest’ultima venduta il 4 novembre 1852 a Cavour, come confermato nelle lettere del 1845 del fattore Giovanni Bosco, gestore delle terre a Grinzane dal 1832, dove si sperimenta anche il Brachetto (1847-1852).

I rapporti stretti e di fiducia tra Oudart e i Castelborgo, la Contessa Luigia Candiani d’Olivola, si perpetuarono comunque per oltre una decade con richieste scritte a chiedere produzioni eccellenti con le uve provenienti dalle migliori vigne esposte di nebbiolo e pinot. Con prezzi ben distinti in base a varietà e qualità. E sempre a conferma dell’apprezzamento della sua finezza c’è anche il consiglio rivolto a Carlo Alfieri di Sostegno, sposo della nipote di Camillo, Giuseppina Cavour, di piantarlo nelle colline circostanti il Castello di San Martino Alfieri, in cui ancora oggi si produce.

Un breve racconto su quanto accaduto nelle terre piemontesi per fermarci a riflettere sul potere della storia, su fatti realmente accaduti, a conferma dell’ammirazione del terroir tutto, non necessariamente sempre e comunque sinonimo di Nebbiolo.

Erika Mantovan

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